Nell’ambito peritale esistono diversi metodi, tutti validi a due condizioni:
- Che siano comprensibili e verificabili
- Che rispettino i principi generali acquisiti dalla Grafologia Giudiziaria
È infatti noto agli addetti ai lavori che non vi è un’unica Scuola di perizie grafiche e di conseguenza la terminologia ed i concetti usati dai periti non sono uniformi; è pur vero che molti periti iscritti agli appositi albi presenti nei diversi Tribunali d’Italia sono autodidatti o hanno ricevuto una formazione di carattere esclusivamente “familiare”.
Per quanto attiene i metodi peritali in senso stretto possiamo identificarne almeno cinque:
- il metodo calligrafico (dal greco Kalòs + Gràfos, “bella scrittura”), che effettua la comparazione delle scritture in riferimento agli aspetti prevalentemente formali, morfologici;
- il metodo grafometrico, che si pone come obiettivo quello di individuare e misurare ogni elemento costitutivo della scrittura analizzando i dati raccolti attraverso statistiche e grafici che vengono successivamente posti a confronto;
- il metodo segnaletico-descrittivo, che prende le mosse da Salvatore Ottolenghi, ordinario di medicina legale all’Università di Roma e Direttore della scuola di Polizia scientifica;
- il metodo grafonomico, che etimologicamente rimanda alle regole che stanno alla base della scrittura (Gràfo = scrivo + Nòmos = norma);
- il metodo grafologico, che si avvale di tutto il bagaglio teorico e strumentale della grafologia – in sostanza i segni grafologici nella loro definizione, natura, misurazione, interazione contestuale e nella loro relazione con la struttura bio-fisiologica unica del soggetto scrivente – ai soli fini identificativi *.